Se, arrivati ad un certo punto della vostra vita, vi sorprendete a domandarvi perché le persone care intorno a voi si lamentano delle vostre “freddezze affettive”, se più di una volta la vostra compagna vi ha sinceramente accusato di scarsa emotività e voi stessi vi riconoscete una certa difficoltà a vivere pienamente certi sentimenti o certe emozioni, è probabile che siete affetti da alessitimia.
Il termine “alessitimia” fu coniato nel 1973 da Sifneos il quale studiò per primo in maniera sistematica questa particolare costellazione di caratteristiche psicologiche. Essere affetto da “alessitimia” significa “un disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche”, spesso presente nei pazientipsicosomatici.
Oggi abbiamo un consenso in letteratura sulla definizione di alessitimia, questa consiste in
1. difficoltà di identificare i sentimenti e di distinguerli dalle sensazioni somatiche;
2. difficoltà nel descrivere e comunicare emozioni e sentimenti alle altre persone;
3. processi immaginativi limitati;
4. stile cognitivo orientato esternamente.
Questi due aspetti salienti del costrutto devono essere colti nel loro stretto collegamento: essendo incapaci di identificare accuratamente e di “dare un nome” ai propri sentimenti soggettivi, le persone alessitimiche hanno difficoltà a comunicare verbalmente agli altri il proprio disagio emotivo e non riescono ad usare le altre persone come fonti di conforto, di tranquillità, di feedback, di aiuto nella regolazione dello stress. La scarsità della vita immaginativa limita inoltre la loro possibilità di modulare l’ansia e le altre emozioni negative, attraverso i ricordi, le fantasie, i sogni ad occhi aperti, il gioco, ecc.
Tale incapacità nel verbalizzare le proprie emozioni non va considerata quindi come una difficoltà di tipo esclusivamente espressivo ma come una vera e propria limitazione nella possibilità di elaborare le emozioni e di costruire un proprio mondo interno (Ricci Bitti & Caterina, 2001)
a cura del Dott. Paolo Mancino
Psicologo
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